Giocare, giochi e giocattoli
Più che un'attività a sé stante, il gioco è un modo per affinare le proprie capacità mettendole alla prova, dettato da una naturale predisposizione alla sperimentazione e alla scoperta. Che poi giocare sia divertente, questo è frutto di un equivoco in cui si cade spesso quando si parla degli esercizi considerati "voluttuari". (foto 1)
Anche un intellettuale del calibro di Josè Ortega y Gasset vede ad esempio nella caccia un richiamo ancestrale che porta l'uomo moderno a dedicarsi con passione a qualcosa di estraneo alla realtà del suo tempo. Di qui la "diversione", il distaccarsi dagli obblighi della quotidianità per fare qualcosa di, appunto, "divertente".
Ebbene, si può andare oltre, e rilevare che l'uomo, come tutti gli animali cosiddetti superiori - i mammiferi dotati di corteccia cerebrale, capaci cioè di provare emozioni e pertanto di sviluppare sentimenti più o meno elaborati - ha trovato nel gioco un elemento vincente nella selezione naturale. L'evoluzione della specie ha privilegiato quei geni che inducono i cuccioli a sperimentare e ad apprendere, giocando, ciò che consentirà a loro di sopravvivere da adulti. Quindi, niente diversione: è la genetica a far sì che cani, gatti, orsi e bambini si comportino allo stesso modo, è la genetica a determinare che attraverso il gioco essi si predispongano alla lotta, alla caccia e quindi anche al ruolo che in seguito occuperanno nel loro ambito sociale. (foto 2)
Non è esagerato affermare che al pari del bere, del mangiare e del riprodursi, quella di giocare è un'esigenza innata. Una caratteristica preziosa per la specie umana, i cui piccoli necessitano di un tempo molto lungo prima di approdare alla autosufficienza, processo che noi non potremmo affrontare senza quella spinta naturale che ce lo rende leggero e "divertente". Ma non di divertimento in senso oggettivo dobbiamo propriamente parlare, bensì solo in senso soggettivo, perché il fatto che Il gioco sia divertente è una conseguenza indotta: anche il sesso lo è, nella misura in cui è necessario che dia piacere, altrimenti ci saremmo estinti.
In senso propriamente etimologico, il gioco è "divertente" solo in quanto può allontanarci dal dolore e dalla fatica dell'esistenza, dalla noia e da quel senso di inutilità o di smarrimento che ci prende quando le circostanze esterne sembrano precluderci nuove esperienze e costringerci a sacrificare la parte creativa che è presente in ciascuno di noi.
Il gioco non deve però essere visto come un'attività a parte, bensì come il modo migliore per affrontare la vita e viverla pienamente, ricavando dalle nostre azioni una gratificazione bastevole in se stessa. Così come traiamo soddisfazione dal bere, dal mangiare e dal fare sesso, senza che da ciò ci si aspetti di ricavare ulteriori vantaggi o benefici.
Non è "cosa" si fa, ma lo spirito con cui lo si fa a permetterci di evadere da una realtà pesante da sopportare: il valore terapeutico del trenino che gira tra ponti e gallerie è tutto nel sogno che lo accompagna, quello stesso sogno del bambino che si immagina macchinista di locomotive o architetto di ponti e gallerie. (foto 3) Sogni che possono continuare a lungo, ma solo per quei fortunati che da adulti riescono a realizzarli, e invece di un noioso "travaglio" hanno la fortuna di svolgere un'attività creativa ed entusiasmante. Agli altri, a coloro che hanno disimparato l'arte di giocare, spesso non resta che la nostalgia dei propri sogni infantili.
In realtà, noi non smettiamo di giocare perché diventiamo vecchi: noi diventiamo vecchi perché smettiamo di giocare. Giocare è un modo di vivere che fa capo alla parola latina ludus. Si parla infatti di "attività ludica" ogniqualvolta si vuol rappresentare qualcosa di "divertente" (nel senso usato da Ortega y Gasset e non solo). I ludi degli antichi romani sono gli antenati del nostro carnevale, dove ogni scherzo vale e ciascuno ha "licenza" di comportarsi come meglio crede.
Tuttavia, la parola gioco ha un'etimologia diversa: deriva da jugus, parola forse di origine etrusca, che altro non è che il giogo, l'attrezzo usato per legare, ovvero aggiogare, i buoi all'aratro. E cosa c'entra questo "legare" con il gioco, che dovrebbe invece affrancare, licenziosamente? C'entra, perché ogni gioco ha le sue regole. Necessariamente.
Giocare non vuol dire prendere le cose alla leggera: il gioco è una cosa seria. E la prima cosa che si chiedono i bambini è: a che gioco giochiamo? Cioè, quali sono le regole del gioco? Dovremmo chiedercelo più spesso anche noi adulti, perché è il rispetto delle regole che fa bello il gioco.
In italiano c'è una certa confusione riguardo alla terminologia. La lingua inglese, invece, fa giustamente una netta distinzione fra l'azione ricreativa del "to play" e il dedicarsi a un "game", con una finalità' diversa. Di solito quella di vincere. Chi gioca a tennis, per quanto decoubertiniano possa essere, non può' negare che un "game" lo appassiona assai di più se si trova sul 40-0 che non sullo 0-40, e il "gambler" (giocatore d'azzardo) dei film western non ha mai l'aria di uno che si diverte.
Anche qui da noi, in un vecchio film, quando Aldo Fabrizi in divisa da maresciallo apostrofa due tizi seduti a un tavolo d'osteria con le carte in mano, intimando: "Qui non si può giocare!" Uno gli risponde secco: "E chi gioca? Io faccio sul serio!"
Appunto: è il tipo di approccio quello che separa due diverse categorie di utenti dello stesso oggetto, sia pur esso un mazzo di carte, una racchetta o un trenino elettrico. Nella mitica Inghilterra di una volta, un "gentleman" poteva giocare con un attrezzo sportivo o con un strumento musicale (to play a guitar) senza rischiare di essere confuso con un atleta o un musicista professionisti. Restava sempre un dilettante, cioè (occhio all'etimologia) uno che trae diletto da ciò che fa. I francesi, che invariabilmente la mettono sul sentimentale, addirittura esagerano, e definiscono il dilettante "amateur"!
Non è questione di avere dei soldi da buttare: quante volte ci siamo chiesti: ma se dovessi farmi pagare, per quello che sto facendo, quanto dovrei chiedere? Cosa spinge delle persone mature a rincorrere un pallone su un campetto di erba sintetica, mettendo a rischio le proprie stanche rotule, o a passare decine di ore a costruire un aliante di due metri di apertura alare, che al primo volo si incastrerà nella inarrivabile chioma di una quercia secolare? La risposta è in quell'ancestrale richiamo che viene dalle nostre radici biologiche, in quella forza che all'occasione è capace di trascinarti verso una cosa o una persona (la passione, l'amore) ma che non scaturisce da fattori esterni, bensì è sempre latente in ciascuno di noi e non aspetta altro che noi gli si abbandoni. (foto 4)
La differenza è che i cuccioli e i bambini sono sempre pronti a fare nuove esperienze, mentre gli adulti usano il raziocinio per minimizzare i rischi, per cui vivono col freno a mano tirato. Però si intristiscono, perché azzittire il bimbo che c'è in noi reprime anche l'espressione della nostra innata vitalità.
Fortunatamente, anche fra gli adulti c'è chi ogni tanto si concede una "diversione" dai propri obblighi e torna a provare il piacere del gioco. Il che non significa regredire ad uno stadio infantile, bensì esercitare liberamente il corpo e la mente, per il solo gusto di farlo. Dare sfogo all'inventiva e alla creatività aiuta a mantenersi giovani. I bambini e gli artisti hanno in comune la passione che mettono in ciò che fanno. E gli artisti non vanno mai in pensione.
E finalmente, dopo aver dissertato sui giochi e sul giocare, parliamo dei giocattoli. Sin dalle età più remote sono giunti sino a noi degli oggetti, come i famosi "soldatini" (foto 5) del principe egiziano Emsah, condottiero della XII dinastia, o le bambole di legno e di avorio dell'antica Roma, ma più che a dei balocchi dobbiamo pensare a degli amuleti legati a pratiche magiche o rituali, collocati nel corredo funerario per accompagnare verso l'aldilà lo spirito dei trapassati.
Prima di poter parlare di giocattoli si impone anzitutto una riflessione sul concetto di bambino, che solo da poco tempo si è delineato così come oggi lo conosciamo. Si devono infatti ai filosofi dell'illuminismo i primi orientamenti pedagogici che attribuiscono una particolare dignità al mondo dell'infanzia. Prima di allora, e purtroppo per molto tempo ancora (persino ai giorni nostri, se ad esempio pensiamo ai bambini-soldato di molti odierni conflitti) i minori sono stati semplicemente considerati dei non ancora adulti, e come tali non degni di alcuna particolare tutela. I lattanti venivano fasciati strettamente, abbandonati in pratica a se stessi e, ove possibile, mandati a balia; poi, sin dalla più tenera età, maschi e femmine erano obbligati a lavorare duramente; per secoli nei campi e poi negli opifici nati con la rivoluzione industriale. L'istruzione obbligatoria è rimasta a lungo un miraggio, e ancora nel 1849 Charles Dickens denunciava col suo David Copperfield lo sfruttamento dei bambini costretti a faticare anche per dieci ore al giorno nelle fabbriche della Gran Bretagna, che pure era all'epoca la nazione più progredita del mondo.
Fino ad una manciata di decenni fa, il poter disporre di qualche ora da dedicare allo svago era un lusso riservato a pochissimi, grandi o piccoli che fossero. Il diritto ad essere (o di tornare ad essere) bambini, è una conquista molto recente, parallela a quella del cosiddetto tempo libero e limitata alle zone più fortunate del pianeta. (foto 6)
Chiarito ciò, nel discettare di giocattoli non intendiamo riferirci a quelli che i bambini con la loro inesauribile fantasia sono sempre riusciti ad inventarsi da soli, né agli oggetti da usare all'aperto, come la palla, la corda o le racchette da volano (che sono più assimilabili agli attrezzi sportivi) né tantomeno ai passatempi detti giochi da tavolo, come il Monopoly o il Risiko. Parliamo bensì di quegli strumenti che riflettendo nel mondo dell'infanzia degli esempi di vita reale consentono ai bambini di rappresentarsi come adulti.
Indipendentemente da ciò, è un dato di fatto che da sempre la stragrande maggioranza dei giocattoli è ispirata ad oggetti o personaggi appartenenti al mondo degli adulti. Siano essi fucili di latta o bambole di porcellana, soldatini di piombo o minuscole teiere di alpacca, si tratta invariabilmente di riproduzioni in miniatura, più o meno ingenue o ricercate, di cose realmente esistenti. La specificità del giocattolo è tutta in questo magico legame, supporto di ogni fantasiosa rappresentazione dell'esistente e di ogni fantastica proiezione verso di esso. (foto 7)
Nei giocattoli riservati ai bambini dagli otto-nove anni in avanti (senza nessun limite superiore), la rassomiglianza con un prototipo reale è particolarmente accentuata, per cui si parla di "modellismo in scala". La sostanza rimane comunque la stessa, con l'unica differenza che in questi casi viene ad essere molto facilitata l'operazione di riconciliare due categorie di adulti: quelli che conservano l'interesse per i giocattoli e quelli che invece si appassionano alle macchine, ai treni, alle navi e agli aeroplani "veri".
Queste persone appartengono infatti a due universi separati. Di fronte al modellino di una locomotiva, l'uno gioirà nel riscoprire l'ormai raro Marklin, del quale saprà dirti tutto: anno di produzione, sistema di alimentazione, varianti di colore, etc etc, mentre nulla o quasi dimostrerà di sapere del veicolo reale. L'altro, viceversa, pur ignorando tutto del minuscolo oggetto, vi riconoscerà al volo la Re 4/4 delle Ferrovie Federali Svizzere, della quale potrà descrivere ogni recondito bullone.
Lo stesso vale per le automobili: c'è chi potrebbe scrivere un intero libro su certi modelli di camion della Dinky Toys, ma non si è mai posto il problema di sapere che motore avesse l'autocarro vero. Mentre l'appassionato che ha restaurato un Guy Vixen del 1954 potrà al massimo essere incuriosito dal fatto che ne esista un modellino in scala 1:43, ma niente di più. Idem per gli aerei, le navi e, ci giurerei, per le cucine economiche o i mobili per le case di bambole.
Se però è vero che la differenza fra infanti e adulti è solo nelle misure dei rispettivi giocattoli, ovvero (in inglese fa anche rima) che "the difference between men and boys is the size of their toys" (foto 8), è ora di rimettere insieme le due metà della stessa mela. MUSEGIOCANDO è nato apposta per cercare di farlo, riconducendo al suo prototipo reale ciascuno dei 4.500 giocattoli e modelli esposti, attraverso schede che illustrano le rispettive caratteristiche e la storia di chi li ha realizzati. Tutte queste informazioni le trovate su questo sito, ma per vedere i giocattoli dal vero dovete venirci a trovare, a Piticchio di Arcevia (AN).
Der Spielehüter